Intervista a Giuliano Bufacchi, coach della Nazionale Italiana di Basket con Sindrome di Down
Lo sport può essere una chiave per superare le barriere all’integrazione di persone, soprattutto ragazze e ragazzi, che hanno una disabilità, a patto che le si consideri non individui ‘speciali’, ma solo con specifiche necessità. Questa filosofia è alla base dell’attività della Fisdir, la Federazione Italiana Sport Paralimpici degli intellettivo- relazionali, e oltre a far sì che migliaia di pazienti con disabilità abbiano potuto godere dei benefici dell’attività fisica ha prodotto anche un piccolo gioiello: la Nazionale Italiana di Basket con Sindrome di Down è il vero e proprio ‘Dream Team’ di questo sport, con tre mondiali e tre europei di fila vinti, ma sarebbe meglio dire stravinti, negli ultimi anni. Proprio all’allenatore del team, Giuliano Bufacchi, abbiamo chiesto cosa significa fare allenamenti, raduni e tornei per chi magari rischia di essere visto dalla società, ma talvolta persino dai propri genitori, solo per i possibili limiti. “I benefici sono evidenti, io li vedo di riflesso parlando con i genitori – spiega Bufacchi -. Al di là del fatto che uno sport di squadra ti porta per sua natura a interagire con i compagni, gli avversari, con tutto un ambiente, i ragazzi capiscono che possono ‘fare le cose’. Si sentono ‘normali’, quando vincono una partita o un campionato sono consci di quello che stanno facendo. La parola più adatta forse è che si sentono ‘accettati’ da tutto quello che li esclude o li vede solo per le loro diversità. Questo si riflette anche negli altri ambiti, sono ad esempio più stimolati a cercare un lavoro e in generale ad essere attivi”.
Proprio grazie allo sport, racconta il coach, anche i genitori possono scoprire fino a che punto i ragazzi possono superare i propri limiti. “Per giocare in nazionale i ragazzi devono essere completamente autosufficienti, perché nel team, anche quando andiamo in trasferta, abbiamo per scelta solo lo staff tecnico strettamente necessario allo sport, non ci sono assistenti. I genitori possono venire a vedere le partite, ma finite quelle gli atleti stanno per conto loro, i genitori li mandiamo anche in un albergo diverso da quello della squadra – spiega -. Una volta ci è arrivato un ragazzo che era molto bravo dal punto di vista sportivo, ma non faceva praticamente nulla da solo, e gli abbiamo spiegato che non poteva entrare in squadra. In tre mesi è diventato completamente autosufficiente, sorprendendo anche i genitori”.
Anche per chi non entra in nazionale i benefici si vedono. “Senza un movimento di base non ci sarebbe una nazionale – ricorda Bufacchi – Ai campionati gestiti dalla Fisdir accedono persone con sindrome di Down, ma anche con altre disabilità intellettive, come l’autismo, e sono molti anche gli sport, non c’è solo il basket. In Italia ci sono molte squadre, anche se non tantissime, sparse per tutto il paese, e per tutte si cerca di seguire la stessa filosofia, ci sono gli allenamenti, le partite, le regole da seguire. Già solo sapere che c’è una nazionale, a cui si può aspirare, è un grosso stimolo”.
Proprio questo modo di pensare, sottolinea il coach, è anche alla base del successo della nazionale, che non perde una partita da anni e che ora punta al trofeo più importante. “Noi siamo all’avanguardia in questo nel mondo, all’inizio eravamo gli unici a trattare i ragazzi semplicemente come sportivi, poi ora gli altri paesi ci stanno seguendo, e credo sia per questo che il nostro livello è così alto. A marzo in Turchia ci saranno i Trisome Games, delle vere e proprie Olimpiadi per le persone con sindrome di Down. È l’unico trofeo che ci manca, speriamo di portarlo a casa…”.
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