Perché dobbiamo identificare i nostri ragazzi come atleti di Serie A? Fisdir

Perché dobbiamo identificare i nostri ragazzi come atleti di Serie A?

Lo sport è il mezzo più importante contro stereotipi e preconcetti. Ce lo disse tempo fa Roberto Cavana, Responsabile Categoria I2 della Nazionale italiana di Nuoto FISDIR: “Penso che lo sport sia il miglior strumento di inclusione. Nella mia società tutti i ragazzi si allenano insieme, senza distinzione di età: capita di avere un bambino di 10 anni accanto a un trentenne, eppure si divertono e stanno bene insieme“.

E in un mondo dove le divisioni e le esclusioni – su ogni livello – sembrano essere più marcate, più dure e più taglienti, la famiglia FISDIR è chiamata a rispondere presente, contro ogni segno di divisione. Abbiamo la responsabilità di ribadire un concetto, a gran voce e con educazione: dobbiamo liberare i nostri campioni dai preconcetti sociali e culturali che li etichettano come atleti di Serie B.

Non dobbiamo aspettare che sia il mondo a cambiare, ma dobbiamo cambiarlo noi. Perché il valore della famiglia FISDIR è enorme, e dobbiamo farlo conoscere in tutta Italia. “Cosa posso dare io alla FISDIR? Aiutare i ragazzi a fare sport e a dimostrare che siamo una Federazione sportiva che fa sport al pari delle altre federazioni olimpiche“, ha evidenziato Giuseppe Del Gaudio, Responsabile Tecnico Nazionale Canottaggio FISDIR in una nostra recente intervista. Ed è forse proprio da queste parole che dobbiamo partire.

Da dove partire per dare visibilità agli atleti FISDIR

Nel corso degli anni, il mondo paralimpico ha assunto una nuova linfa vitale, grazie soprattutto alla visibilità che alcuni campioni hanno ottenuto attraverso i media. Basti pensare a Nicole Orlando, capace di creare attorno a sé una fanbase fondamentale per spezzare numerosi pregiudizi e usare questa catena mediatica per frantumare la narrazione tossica nei confronti della disabilità intellettivo-relazionale. Così tanto da risaltare agli occhi dell’opinione pubblica per ciò che è: una campionessa sportiva internazionale.

Ed è qui che bisogna concentrare la nostra attenzione, perché andare a cercare un colpevole non serve. Prima di tutto, siamo noi a dover essere fautori di questo cambiamento socio-culturale, dobbiamo prenderci la responsabilità di agire per il bene del nostro movimento. Se vogliamo stravolgere questa situazione pietistica che vivono ancora oggi i nostri atleti, dobbiamo essere i primi a ri-modellarci per far arrivare il nostro messaggio in maniera più incisiva.

Noi siamo una Federazione composta da tecnici, atleti, medici, famiglie, persone e tante altre figure di riferimento di fondamentale importanza, che non vedono le attività in FISDIR come un “passatempo inclusivo”, ma come un’arena sportiva dove poter formare i campioni di oggi e di domani, con dedizione e sacrificio, attraverso i valori più alti dello sport.

Tantissimi anni fa lo sport per le persone con disabilità in Italia era considerato come un semplice passatempo per permettere loro di avere qualche momento di socialità. Oggi lo sport in FISDIR non è più il “passatempo sociale”, ma si è trasformato in confronto con altre personalità nazionali e internazionali, sviluppo dell’ambizione personale, costruzione della propria autonomia e realizzazione della propria indipendenza umana.

Attraverso l’attività in FISDIR – ci ha detto Cristina Ranocchi, Responsabile Tecnico Nazionale Pallavolo FISDIR -, i ragazzi possono lavorare tantissimo per raggiungere anche degli obiettivi in un contesto sociale molto più ampio“. Parole da scrivere nella pietra, parole da cui partire per rendere ancora di più globali gli obiettivi che dobbiamo porci.

Il nostro lavoro con gli atleti FISDIR

Come dicevamo poc’anzi, il cambiamento parte da noi. I nostri atleti non devono restare chiusi all’interno di una teca di vetro, così da non esporli ai rischi della vita, ma bisogna metterli di fronte a sfide sempre più complesse e articolate.

In questo senso, diventeranno profetiche le parole del tecnico Del Gaudio: “FISDIR mi ha dato una grande possibilità: dimostrare che questi ragazzi possono fare uno sport ad un livello molto alto. Per molto alto intendo la somministrazione di un programma di allenamento pari a quello dei ragazzi under 19-20 del canottaggio olimpico. Non dobbiamo avere paura di somministrargli allenamenti di circuiti e pesi intensivi, o di fargli fare molti chilometri in barca. Lo possono fare!“.

Lo possono fare, e anche in autonomia, come ci spiegava Marco Peciarolo, Responsabile Tecnico Nazionale Nuoto FISDIR: “Il gesto sportivo, in questo caso del nuoto, potrebbe rappresentare l’unico vero momento di autonomia nel corso della sua vitaA scuola l’atleta svolge un lavoro con l’aiuto dell’insegnante di sostegno, e anche altre cose vengono fatte sempre con l’aiuto di qualcuno. Nel nuoto invece, dal momento della camera di chiamata fino alla gara, l’atleta vive il momento in piena autonomia. Poi nella gara si compie l’autonomia quella più totale, perché l’atleta deve compiere un gesto atletico secondo delle regole, che viene stilato da terzi sorteggi“.

Il cambiamento sportivo interno è evidente: nel corso degli anni, i nostri tecnici hanno sviluppato le proprie competenze con l’obiettivo di formare campioni, e non per dare un semplice svago ai giovani. La famiglia FISDIR si muove all’unisono verso la creazione di atleti nazionali e internazionali di valore.

E tutto comincia proprio dalle famiglie dei ragazzi, vero motore e cuore pulsante del movimento: che si fidano, che osservano come plasmiamo donne e uomini che rappresentano e rappresenteranno la nostra Federazione in Italia e nel mondo.

Cosa fare per dare maggiore visibilità agli atleti FISDIR?

Il segreto per affermare che in FISDIR ci sono atleti di Serie A è semplice: comunicarlo, svelarlo, raccontarlo. Così come abbiamo fatto tempo fa con i Mondiali di Nuoto a Bangkok, documentato la partenza degli Azzurri (qui il video) e il ritorno dalla competizione estera (qui il video), la cui notizia è stata trasmessa dal TGSport di Rai2 ma anche su diverse testate web.

Il cambiamento deve partire da noi: come Federazioni, come tecnici, come famiglie, come atleti. E il cambio non deve essere solo sportivo, ma culturale. Un atleta con disabilità intellettiva che corre i 100 metri in 10”40 va valutato non con compassione, ma con la stessa logica con cui si giudica un olimpionico: quanto incide la disabilità sulla sua prestazione? Quale percorso di allenamento ha seguito? Quanto cuore ha messo per arrivare lì?

Ma dobbiamo essere i primi a farlo, a imbracciare il megafono e raccontare le prestazioni di questi atleti per quelle che sono: prestazioni da atleti di Serie A. Dobbiamo riconoscere il ruolo pieno di questi ragazzi: non spettatori né ospiti dello sport, ma protagonisti. E raccontarlo a gran voce, ovunque.

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